Come noto, per consolidato orientamento, la giurisprudenza ha a lungo affermato che, nei rapporti di lavoro subordinato assistiti dalla c.d. «tutela reale» (ossia, nelle aziende con più di 15 dipendenti), ai sensi dell'art. 18 Statuto dei Lavoratori, eventuali crediti maturati dal lavoratore ma – per le più varie ragioni – non riscossi, erano soggetti alla prescrizione quinquennale anche durante il corso del rapporto di lavoro; mentre, nelle aziende più piccole, la prescrizione decorreva soltanto a partire dal termine del rapporto.
Poteva cosi accadere, ad esempio, che una mensilità non pagata o dello straordinario non pagato potessero essere richiesti dal lavoratore della piccola azienda anche a distanza di molti anni, magari dopo il pensionamento; mentre il lavoratore della grande azienda doveva attivarsi per tempo, per non vedere estinto il proprio diritto per effetto della prescrizione.
Questa differenza di trattamento veniva giustificata con la considerazione che il lavoratore della grande azienda era tutelato, in caso di licenziamento per ragioni pretestuose, dalla tutela «reale» del posto di lavoro ossia dal diritto a riavere il proprio posto di lavoro; mentre ciò non avveniva per il lavoratore della piccola azienda, per il quale la reintegrazione rappresentava una possibilità eccezionale. Se ne deduceva che il lavoratore non protetto dall'art. 18 Statuto dei Lavoratori era inevitabilmente soggetto al timore di poter essere licenziato nel caso in cui avesse rivendicato dei propri, pur legittimi, diritti, mentre il lavoratore della grande azienda, più tutelato, non aveva ragione di temere.
Questo scenario, condivisibile o meno, è stato indiscusso fino all'entrata in vigore della c.d. «Riforma Fornero», nel luglio 2012. Come noto, con tale provvedimento (L. n. 92/2012) fu modificato l'art. 18 Statuto dei Lavoratori, limitando la sanzione della reintegrazione ai soli casi più gravi di illegittimità del licenziamento e stabilendo che negli altri casi il lavoratore avesse diritto ad un mero indennizzo economico.
Il nuovo contesto normativo, dunque, ha indotto una parte della giurisprudenza ad un ripensamento del tradizionale orientamento: se oggi, infatti, l'art. 18 Statuto dei Lavoratori non offre più la certezza della reintegrazione nel posto di lavoro, argomentano alcune sentenze, si deve ritenere che anche i lavoratori delle grandi aziende siano oggi soggetti al metus, ossia al timore, di perdere il posto di lavoro nel caso in cui rivendichino il loro diritto, ad esempio al pagamento di una retribuzione arretrata. Pertanto, è stato deciso che anche per questi lavoratori la prescrizione deve rimanere sospesa per tutta la durata del rapporto di lavoro, poiché solo dopo la sua cessazione il lavoratore riacquisterebbe la propria libertà di azione.
Tale orientamento non è esente da critiche, ma occorre prendere atto che la tesi sta trovando riscontro in diverse sentenze presso il Tribunale di Milano (ad esempio, Dott. Di Leo, 16 dicembre 2015; Dott. Lombardi, 7 ottobre 2016; Dott.ssa Locati, 12 aprile 2017; Dott.ssa Moglia, 6 novembre 2017) e il Tribunale di Torino (Dott. Croci, 25 maggio 2016). Presso altri Fori, sembra resistere l'orientamento tradizionale che nega la sospensione della prescrizione ai lavoratori della grandi aziende (ad esempio, Tribunale Milano, 7 ottobre 2016, Dott.ssa Bertoli; Corte d'Appello Roma, 13 e 16 novembre 2017, estt. Dott.ssa Franchini e Dott. Chiriaco; Tribunale Torino, 7 novembre 2017, Dott.ssa Ferro).
Naturalmente, è facile ritenere che i sostenitori del nuovo orientamento ne faranno applicazione anche nei rapporti di lavoro «a tutele crescenti», nei quali la possibilità di reintegrazione è ancora più remota.
E ancora presto perché la Corte di Cassazione abbia occasione di pronunciarsi sul tema. È lecito presumere, tuttavia, che non occorrerà attendere ancora molto.